mercoledì 9 aprile 2025

Undici stagioni e un fischietto: confessioni di un'idiota da parquet

 


 

Undici stagioni. Non di una serie TV.  Di partite vere, vissute, sudate sugli spalti con l’occhio strizzato, le ginocchia accavallate e la mascella serrata nello sforzo di capire. Undici stagioni di basket per non capire, alla fine, assolutamente niente.

Era il 2014 quando Vito mi trascinò alla mia prima partita della Fortitudo. Mi aveva detto: “Vedrai, è bellissimo. Velocità, strategia, intensità, rispetto delle regole”. Trovai dieci tizi (tutti sopra il metro e novanta) che si inseguono in mutande urlandosi addosso mentre un gruppo di tre arbitri fischia a caso, con l’espressione ieratica di chi ha appena visto la Madonna.

La prima volta fu uno shock. Abituata al calcio in TV, dove vedi due o tre gol a partita, se va bene, mi ritrovai in un tripudio di canestri, contropiedi, urla e musica da discoteca. Ogni due secondi qualcuno faceva canestro. Ogni tre, qualcuno fischiava. Il pubblico non sta mai zitto: applaude, insulta, canta, bestemmia, ride, piange.

Ma poi arriva il momento chiave. Il fischio. Il famoso, temuto, inspiegabile fischio. Gli arbitri, entità sovrannaturali armate di cinismo, interrompono il gioco. Fischiano.

Il mistero non è il perché abbiano fischiato. Il mistero è per chi. A favore o contro? Il fallo lo ha subito l’omone vestito di bianco o quello vestito di blu? È colpa sua o gliel’hanno fatta? E soprattutto: perché la sua faccia non esprime né colpa né innocenza, ma solo un vago disprezzo esistenziale?

Per capire, io mi affido all’unico oracolo rimasto: il volto del tifoso. Guardo la curva. Se è incazzata, il fischio è contro. Se esulta allora è a favore. In pratica, seguo la partita leggendo le espressioni. Il gioco lo capirò mai? No. Ma il linguaggio universale dello sdegno è chiaro come il sole a mezzogiorno.

Una volta ho persino chiesto a Vito: “Perché hanno fischiato adesso?”. Mi ha guardata con commiserazione, poi ha pronunciato la frase che chiude ogni spiraglio di dialogo tra i sapiens e i Neandertal dello sport:

“Eh, ma quelli erano passi.”

Passi? Dove? Perché? Chi li ha fatti? E quanti erano?

Dopo undici stagioni, ogni volta che vado al palazzetto mi sento spaesata, bombardata da suoni, ma perfettamente felice di esserci pur non capendo nulla.

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