«Non volevo arrivare a questo. Ma quella cosa. Non
riuscivo a cancellarla dalla testa, quella cosa.» «Cosa?» «La bestia!»
Roma non è “Caput Mundi”, il barocco e Bernini sono
cancellati, la Chiesa è colpevole. Roma vive nei residuati archeologici che
hanno il nome di Mattatoio e Gasometro; il Tevere non è più biondo ma rosso
sangue.
Tinte forti; immagini crude,
senza filtri: “Ѐ così che si uccide”.
E la pioggia non è
rinfrescante, ristoratrice, sostentamento; al contrario è sporca, è
martellante, incupisce chi ha la sventura di subirla.
La vita, il bene: trionfano
sempre? Cosa succede quando l’Ombra prende il sopravvento su di loro?
Enrico Mancini lo sa bene;
anche l’assassino lo sa.
Mancini e l’assassino: due
esistenze le più diverse ma, paradossalmente, vicine; pericolosamente più
vicine di quanto si possa immaginare.
Profiler (con
specializzazione negli U.S.A.) l’uno, persona comune l’altro; eppure entrambi sanno che “Non è una parola, il dolore. Ѐ corpo, ha un nome e una forma.”
Per gli amanti delle
definizioni “Ѐ così che si uccide” rientra in quella di thriller psicologico: invero, come una partita di scacchi, pagina
dopo pagina, si assiste al tentativo del Nero (colore de “L’Ombra”) di
attaccare la mente del Bianco (il “buono”?), ognuno secondo il suo schema; capitolo
contro capitolo; carattere corsivo contro carattere normale.
L’unico arbitro riconosciuto
dalle parti è il Tempo, peraltro nemico di entrambe.
Non ci sono vincitori nel
romanzo di Mirko Zilahy; o forse sì, se ”vincitore”
lo si vuole intendere nell’accezione più ampia del termine.
In realtà, un vero, autentico
vincitore c’è: è il lettore. L’Autore non fa altro che accendere il semaforo
verde e lui, il lettore, si trova catturato dal ritmo perfetto della
narrazione, dalla scrittura precisa, lineare, da un uso corretto, sapiente
delle parole. Sì, Mirko Zilahy scrive bene: niente scivoloni, nemmeno nel
finale (la chiusura è, infatti, da sempre la parte più difficile in romanzi
come questo), ma barra sempre a dritta e timone saldo nelle sue mani. La
controprova? A tacer del colpo di scena magistralmente inserito (vero Ispettore
Comello?), sono Giulia Foderà, Caterina De Marchi, Antonio Rocchi, Carlo Biga,
il citato Walter Comello, ma anche Vincenzo Gugliotti, gli assi nella manica
del Nostro: donne e uomini in trincea (Gugliotti forse un po’ meno…), fatti di
carne e ossa, con le loro paure, i loro difetti, le loro intuizioni; donne e
uomini tra loro diversi ma che le vicende che sono chiamati a condividere li
avvicina, li fa crescere… in una parola: sono donne e uomini credibili.
Sì, “È così che si uccide” piace.
Piace perché costringe il
lettore a stare all’erta, a non mollare, a ragionare.
Piace perché spinge tutti noi
a interrogarci sulla bontà delle nostre scelte, sulla correttezza di chi
dovrebbe prendersi cura di noi e non lo fa, su ciò che ci circonda: ambiente,
risorse e loro uso e sfruttamento.
Piace perché ci fa capire
che, in fin dei conti, ognuno di noi può diventare il “cattivo”, l’Ombra,
l’assassino.
A quanto detto rimane ben
poco da aggiungere se non fare i complimenti a Mirko Zilahy: raramente un’opera
prima raggiunge livelli qualitativi così elevati. Bravo!
In chiusura: “È così che si uccide”
è un romanzo che merita, per cui: buona lettura!
Anonimo Veneziano