sabato 24 marzo 2018

“Ė COSÌ CHE SI UCCIDE” di Mirko Zilahy

 
«Non volevo arrivare a questo. Ma quella cosa. Non riuscivo a cancellarla dalla testa, quella cosa.» «Cosa?» «La bestia!»
Roma non è “Caput Mundi”, il barocco e Bernini sono cancellati, la Chiesa è colpevole. Roma vive nei residuati archeologici che hanno il nome di Mattatoio e Gasometro; il Tevere non è più biondo ma rosso sangue.
Tinte forti; immagini crude, senza filtri: “Ѐ così che si uccide”.
E la pioggia non è rinfrescante, ristoratrice, sostentamento; al contrario è sporca, è martellante, incupisce chi ha la sventura di subirla.
La vita, il bene: trionfano sempre? Cosa succede quando l’Ombra prende il sopravvento su di loro?
Enrico Mancini lo sa bene; anche l’assassino lo sa.
Mancini e l’assassino: due esistenze le più diverse ma, paradossalmente, vicine; pericolosamente più vicine di quanto si possa immaginare.
Profiler (con specializzazione negli U.S.A.) l’uno, persona comune l’altro; eppure entrambi sanno che “Non è una parola, il dolore. Ѐ corpo, ha un nome e una forma.”
Per gli amanti delle definizioni “Ѐ così che si uccide” rientra in quella di thriller psicologico: invero, come una partita di scacchi, pagina dopo pagina, si assiste al tentativo del Nero (colore de “L’Ombra”) di attaccare la mente del Bianco (il “buono”?), ognuno secondo il suo schema; capitolo contro capitolo; carattere corsivo contro carattere normale.
L’unico arbitro riconosciuto dalle parti è il Tempo, peraltro nemico di entrambe.
Non ci sono vincitori nel romanzo di Mirko Zilahy; o forse sì, se  ”vincitore” lo si vuole intendere nell’accezione più ampia del termine.
In realtà, un vero, autentico vincitore c’è: è il lettore. L’Autore non fa altro che accendere il semaforo verde e lui, il lettore, si trova catturato dal ritmo perfetto della narrazione, dalla scrittura precisa, lineare, da un uso corretto, sapiente delle parole. Sì, Mirko Zilahy scrive bene: niente scivoloni, nemmeno nel finale (la chiusura è, infatti, da sempre la parte più difficile in romanzi come questo), ma barra sempre a dritta e timone saldo nelle sue mani. La controprova? A tacer del colpo di scena magistralmente inserito (vero Ispettore Comello?), sono Giulia Foderà, Caterina De Marchi, Antonio Rocchi, Carlo Biga, il citato Walter Comello, ma anche Vincenzo Gugliotti, gli assi nella manica del Nostro: donne e uomini in trincea (Gugliotti forse un po’ meno…), fatti di carne e ossa, con le loro paure, i loro difetti, le loro intuizioni; donne e uomini tra loro diversi ma che le vicende che sono chiamati a condividere li avvicina, li fa crescere… in una parola: sono donne e uomini credibili.
Sì, “È così che si uccide” piace.
Piace perché costringe il lettore a stare all’erta, a non mollare, a ragionare.
Piace perché spinge tutti noi a interrogarci sulla bontà delle nostre scelte, sulla correttezza di chi dovrebbe prendersi cura di noi e non lo fa, su ciò che ci circonda: ambiente, risorse e loro uso e sfruttamento.
Piace perché ci fa capire che, in fin dei conti, ognuno di noi può diventare il “cattivo”, l’Ombra, l’assassino.
A quanto detto rimane ben poco da aggiungere se non fare i complimenti a Mirko Zilahy: raramente un’opera prima raggiunge livelli qualitativi così elevati. Bravo!
In chiusura: “È così che si uccide”  è un romanzo che merita, per cui: buona lettura!
Anonimo Veneziano 






lunedì 5 marzo 2018

Le verità nascoste della svastica

Germania 1939, a pochi mesi dall’inizio della II G.M.
Servizio esclusivo del nostro uomo sul posto, Luigi De Conti.
Da informazioni ricevute si consiglia una ricognizione aerea della zona di Peenemumde, Germania orientale, affacciata sul Mar Baltico. Un aereo della R.A.F. è pronto al decollo; l’equipaggio è composto da Amelia Johnson, pilota ausiliario;

Un libro per non morire

C’è un editore, da qualche parte in provincia, che stampa ancora libri. Non solo eBook. Non podcast da sfogliare con le orecchie. Libri veri...